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“O
come vorrei restare su questa terra
per vivervi tutta la mia vita” (H.
Ibsen)
Il genio di Henrik Ibsen
si incendia di mediterraneità. Anche per
il padre del dramma moderno l’incontro con la
luminosità delle terre mediterranee è
come una sorta di folgorazione; anche per lui, abituato
al pallido sole boreale, l’Italia diviene la meta
agognata dove si incontra la bellezza ideale
di Antonina Garise De Palma
Deluso dal comportamento dei suoi
connazionali, che non erano intervenuti in aiuto del
popolo danese sopraffatto dalle truppe del re di Prussia,
Ibsen va via dalla Norvegia in volontario esilio e sceglie
come nuova patria l’Italia, il favoloso Sud,
la terra promessa per tanti uomini di cultura provenienti
dalle terre del Nord e abituati a convivere con una
natura severa, quasi minacciosa e le brume delle loro
latitudini.
In Italia egli può dedicarsi con una certa
tranquillità al suo lavoro di drammaturgo grazie
anche a una generosa borsa di studio elargita dal governo
norvegese per l’intervento di alcuni intellettuali
suoi amici.
Mi piace riportare le parole di Henrik Ibsen di fronte
a Miramare che appare in tutta la sua radiosa bellezza:
«Partii
per il Sud attraverso la Germania e l’Austria,
attraversai le Alpi il 9 maggio (1864). Sulle alte montagne
le nuvole erano sospese come grandi, scuri sipari, sotto
cui noi, passando, attraversammo il tunnel e improvvisamente
ci trovammo presso Miramare, dove la bellezza del Sud,
uno strano luminoso bagliore, abbagliante come marmo
bianco, improvvisamente si manifestò ai miei
occhi e segnò tutta la mia produzione a venire,
anche se non tutto in essa era bellezza».
Come tanti altri viaggiatori del suo tempo, subisce
infatti l’attrazione di questa magica terra: la
cultura, la spontaneità, lo stile di vita, il
clima, i colori, l’architettura hanno una positiva
influenza su di lui.
Enrico Ibsen nei drammi appunto
realizzati nel nostro paese forse riesce ad esprimere
il meglio di sé come messaggio poetico ed epico.
Egli sembra infatti diventare un altro uomo, gettando
alle spalle la sua cupezza e l’amarezza per la
sfortunata guerra danese, sembra che voglia vivere solo
per la sua poesia, e i grandi temi già anticipati
nelle opere composte prima della sua venuta in Italia,
ora sono espressi nella maniera più compiuta
e perfetta.
A Roma, dove egli subisce il fascino della città
eterna e dove è soggiogato dalla grandiosità
dei monumenti come la Basilica di San Pietro e la maestosa
ed elegante cupola michelangiolesca, compone il dramma
dal titolo Brand, dal nome del protagonista. In tale
opera si avverte la volontà dell’uomo a
perseguire il suo ideale, la propria aspirazione alla
perfezione, a costo anche della vita; Brand che aspira
all’assoluto, però, si smarrirà
nella montagna di ghiaccio morendo senza raggiungere
la mèta, e solo alla fine quest’eroe così
rigido nel suo ideale di perfezione dimostra di possedere
una tenue fiammella d’amore: infatti le ultime
parole di Brand sono: «L’Essere Supremo
è un Dio di carità».
A Roma egli medita il Peer Gynt
e quando giunge a Casamicciola nel maggio del 1867,
porta con sé i primi appunti del dramma che poi
sarà sviluppato durante il soggiorno dello scrittore
all’Albergo Europa, cioè Villa Pisani e
ora Villa Ibsen. Uno studioso ibseniano, il prof.
Ladislav Reznicek, così parla del luogo in cui
soggiorna Ibsen: «E’ possibile assaggiare
l’acqua del mare e risalire il ripido sentiero
che porta alla Sentinella dove si trova Villa Pisani.
Occorre un quarto d’ora di cammino per raggiungere
il luogo dove è facile prendere il volo verso
un paese favoloso non desta meraviglia che Peer Gynt
abbia costruito qui i suoi castelli aerei.» II
Peer Gynt risente dello stato di grazia in cui lo scrittore
si trovava e che lo fa lavorare malgrado il caldo e
anche di buon umore, come egli scrive ad Hegel nell’agosto
del 1867.
La natura mediterranea dell’isola d’Ischia
si avverte nelle pagine del Peer Gynt e non solo questa,
ma forse anche l’indole, il carattere delle persone
del luogo che egli ha modo di conoscere. In questo dramma
il contrasto tra la vita estetica e quella morale esiste
ancora ma è sdoppiato nei due protagonisti, l’allegro
e spensierato Peer e la dolce Solveig, ambedue cosi
somiglianti sotto certi versi alla nostra gente. Lui
è un marinaio in cerca di avventure e si discosta
nel suo viaggiare allegramente e senza remore dalla
norma morale. Solveig fa pensare alle nostre donne nella
loro attesa fedele del ritorno del proprio uomo che
navigava per i mari non in cerca di avventure, ma di
un tozzo di pane. Ella non gli è fedele solo
in ossequio alla regola di vita che si è imposta,
ma anche per amore; questo amore diventato quasi materno
quando alla fine Peer ritorna non più allegro
giullare, ma uomo deluso e avvilito, salverà
e riscatterà quest’ultimo.
Lo scrittore lascerà Casamicciola alla fine
dell’estate forse impressionato da una leggera
scossa di terremoto, trasferendosi a Sorrento, dove
qualche anno dopo comporrà il dramma Spettri.
Nel giugno del 1879 egli è ad Amalfi e realizza
Casa di bambola, un dramma dei nostri tempi, i cui personaggi
principali già vivevano nella sua coscienza e
nella sua mente da tempo. In tale opera non solo ci
rappresenta la lotta dell’uomo che tende alla
propria libertà senza riuscire peraltro a liberarsi
dei propri limiti e del convenzionalismo degli schemi
sociali stratificati, ma l’autore per la prima
volta nella storia della cultura mette in discussione
la condizione della donna vista dal lato di lei.
In Casa di bambola Ibsen appunto evidenzia
come tutto nella società è visto nell’ottica
del maschio; nel dramma sono perfettamente delineate
le ingiustizie e la considerazione meschina in cui la
donna è tenuta e la lotta sofferta di Nora per
affermare la propria dignità e personalità
non solo di donna, ma di essere umano, di fronte al
perbenismo ipocrita e vile del marito.
II pensiero del grande drammaturgo norvegese è
tuttora attuale nella nostra società fatta di
contraddizioni, alcune volte di comportamenti esasperati
e dove i contrasti tra opposti egoismi alcune volte
portano ora come allora a risvolti drammatici.
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